sabato 11 dicembre 2010

C'era una volta "a putìa di Turi da ghiesa"


E’ stato, forse, uno sbadiglio del tempo. Ché se non si era lì a guardare, in quel breve lasso, neppure lo si notava. E anche dopo esserci stato, è passato quasi inosservato. In breve, dimenticato.


Avere all’incirca 25 anni nel 2010 significa essere nati giusto in tempo per vedere il finire del nostro “mezzo secolo breve”. Sembra se ne sia andato quatto quatto come chi capisce che, a un certo punto, può anche andare via ché nessuno se ne accorge. Quando iniziò e quando finì, questo mezzo secolo breve, di preciso ancora non sappiamo dirlo, dovremmo studiarci un po’ sopra e recuperare informazioni più precise, ma grosso modo, ad occhio e croce, diciamo che va dal dopoguerra alla seconda metà degli anni ottanta. Accadeva, in quel lasso di tempo, che le nostre campagne si scoprivano ad ospitare scuole, asili, campi sportivi, botteghe, macellerie e piccole attività di vario tipo. C’era chi si prodigava a portare “comodità”, o nuovi segni della “civiltà” lì dove prima c’erano solo terre da conquistare a pietre, rovi, cardi e lucertole e nascevano, ad esempio, le scuole di Francari, S.Francesco, S.Ignazio, Casale ormai abbandonate, diroccate, o affidate ad associazioni culturali e/o ricreative. Nascevano i campi da calcio di S.Ignazio e quello, sconosciuto a molti, “da Rinedda”. Nascevano botteghe, meglio note come “putìe”, alcune ancora aperte.


C’è ancora chi ricorda una bottega chiusa ormai da una ventina d’anni: sorgeva accanto alla chiesa di Francari ed è ancora nota a tutti come “a putìa di Turi da ghiesa”. Ci andavamo, bambini, nei pomeriggi d’Estate a prendere il gelato (in alternativa, all’epoca, passava ancora il gelataio a Francari!). Come che era ci si andava e ci si incontrava con gli altri ragazzi del vicinato e si finiva per giocare a biliardo, a nascondino o ad inventarsi pugnali e pistole di banditi e pirati con un legno ed un coltello. In tempi ancora più lontani a putìa di Turi ghiesa era per i nostri nonni il luogo d’incontro di tutta Francari e Maddalena. Ci si andava soprattutto la Domenica in un’epoca in cui la Domenica era giorno di riposo. Raccontano ancora che il Sabato sera si prendeva l’acqua alla sorgente perché la Domenica non si faceva neppure quello. E s’andava, così, alla putìa, dove, al cospetto del Castelluccio, si giocava a carte e tra briscole, scope e tresette, si beveva vino e si raccontavano storie di cacciatori, storie di offese e di vendette, di briganti e di vendemmie.
Fu così che una Domenica pomeriggio dei giorni nostri “Turi da ghiesa” ci raccontò la sua storia della sua “putia”:

Turi da ghiesa la signora Maria
Ho aperto la bottega nel 1962. Prima facevo il potatore e mi è anche capitato di lavorare fuori dalla provincia di Messina. Ho cambiato lavoro per non allontanarmi più dalla mia famiglia e dalla mia casa. 
La mia bottega era situata a Francari, vicino alla chiesa dove io e la mia famiglia abitavamo. Non aveva un’insegna e, per identificarla, le persone facevano riferimento a me che ne ero il proprietario. Tutti mi chiamavano Turi da Ghiesa e quindi questa bottega la chiamavano tutti "a putia di Turi da Ghiesa".
Vendevo generi alimentari di prima necessità (pane, pasta, zucchero, farina, fagioli,…), pochi generi alimentari secondari (birra e bibite, gelati) e foraggio (coniglia, fave, granturco, orzo. . .). Avevo una clientela abituale che veniva dalle contrade vicino come Casale, Maddalena, S. Francesco. . . ma c’erano anche clienti che venivano da Montagna Reale, Bonavita. In tempi di politica, però, molti non venivano ad acquistare nella mia bottega a causa degli orientamenti politici che loro appoggiavano e che erano opposti al mio.

A quel tempo non c’erano i fornitori e i rappresentanti di adesso e dunque ero io a procurarmi la merce. Per la maggior parte, mi fornivo dalle botteghe di Gioiosa (soprattutto da Spanò, attuale Sigma) e portavo sacchi di farina da 50 kili sulle spalle e a piedi; altrimenti partivo con il mio camion e andavo fuori paese (Messina, Catania).

La bottega era gestita da me e da mia moglie e al bisogno, e soprattutto quando ero fuori per rifornirmi di merce, dai miei figli. L’orario di apertura era di solito dalle 7.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 21.00, ma questi orari difficilmente venivano rispettati perché spesso i clienti venivano nell’orario di chiusura anche per un pacchetto di sale.

Alcune caratteristiche dei prodotti di 40 anni fa: per esempio, la pasta non era confenzionata e porzionata nei sacchetti di un kilo o mezzo kilo ma si vendeva sfusa. Si teneva in dei contenitori o sacchi, si prendeva con la “sarsola” e si pesava in base alle richieste del cliente. Lo stesso avveniva con i legumi. Per quanto riguarda le bottiglie delle bibite erano soprattutto di vetro, pochissime di plastica. Inoltre, quando il cliente acquistava una bevanda pagava la bevanda e una minima somma per il vetro perché le bottiglie vuote dovevano essere restituite alla bottega: in questo modo, al cliente che riportava le bottiglie restituivo quei soldi pagati anticipatamente, in caso contrario essi rimanevano a me e non li rimettevo di tasca mia (anche se mi è successo una paio di volte). Su alcuni tappi della birra Prinz Bravo, poi, i produttori avevano messo una stella gialla; il cliente che la trovava aveva diritto a 10.000 lire e una confezione di birra gratis.

Ovviamente, così come oggi, anche allora c’erano clienti che acquistavano senza pagare al momento dell’acquisto. Per questi clienti avevo una serie di pizzini sui quali annotavo i miei crediti che immettevo in un pezzo di ferro filato fissato verticalmente a una base. In questo modo mi veniva facile stralciare l’appunto quando il mio debitore si presentava per saldare il suo debito.

Di solito i prezzi erano di base e costanti. Non facevo sconti perché sopportavo maggiori costi di trasporto delle altre botteghe in quanto ero io stesso a procurare la merce. A posto degli sconti, organizzavo degli incontri di gioco a carte ( briscola, scopa e tressette) e di biliardo e al vincitore davo qualcosa come premio. La mia bottega era anche una specie di bar, di ritrovo, di “circolo”: vendevo gelati e bibite e avevo lo spazio e i tavoli dove poter giocare.

Ho chiuso la bottega nel 1989 perché le altre botteghe, col tempo, si sono trasformate in supermercati e ciò comportava un calo nella mia attività. I prodotti che vendevo erano di meno rispetto a quelli venduti nei supermercati ed inoltre questi ultimi non avevano a carico i miei stessi costi di trasporto; la merce aveva una scadenza e io non riuscivo a venderla entro un certo periodo di tempo. Devo dire che questo mestiere era abbastanza redditizio ma con lo sviluppo dei supermercati i miei costi divennero superiori ai profitti e dunque continuare a mantenere la bottega aperta divenne poco redditizio.

Io e mia moglie siamo partiti da zero; non sapevamo niente di come si facesse il bottegaio, così, all’inizio, ho imparato qualcosa da un libricino, il "Libro Dei Conti Fatti", che avevo comprato alla tipografia Panta di Patti ed è stato grazie ad esso, il tempo, l’esperienza e un pizzico di fortuna, che diventai Turi da ghiesa u putiaru.

 

venerdì 12 novembre 2010

San Martino


La nebbia agli irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

                                (G. Carducci)


domenica 7 novembre 2010

Il cannolo siciliano: il re delle prelibatezze dolciarie della Trinacria

Considerato il re dei dolci in Sicilia, un tempo il cannolo siciliano era degustato solo nel periodo di carnevale proprio perché sembra essere nato per scherzo in un dimenticato monastero e successivamente prodotto dalle pasticcerie locali in ogni periodo dell’anno. La leggenda narra che il termine “cannolo” prenda il suo nome dalla parola volgare “canna”, ossia “rubinetto” in siciliano: un motteggio carnevalesco del tempo faceva uscire dal rubinetto crema di ricotta al posto dell’acqua. Da qui deriva lo scherzo carnevalesco e l’impiego in quel periodo.

In alcune parti della Sicilia, grandi e piccini, confezionavano un cannolo dove alle estremità mettevano la crema di ricotta, mentre all’interno sistemavano un batuffolo di cotone. La vittima dello scherzo morsicava con gusto l’estremità per poi trovare la sorpresa!

L’antica ricetta, uscita dalla clausura di un convento palermitano, presentava il cannolo come un dolce costituito da un involucro cilindrico e allungato di pasta fritta (la così detta “scorcia”) farcito con un impasto di ricotta, zucchero e frutta candita. Inoltre, per conferire alla scorza la tipica forma, anticamente si usavano le canne di bambù, oggi sostituite da piccoli tubi di metallo su cui si avvolge la pasta.

In ogni località siciliana si confezionano croccanti e deliziosi cannoli che, grazie alla maestria dei nostri pasticceri, sono pressoché simili negli ingredienti ma diversi da luogo a luogo nella decorazione. Il cannolo è una ghiottoneria così cara ai siciliani che in numerose zone l’onorano con la famosa “Sagra del Cannolo” dove si possono degustare cannoli di tutte le grandezze, dai cannolicchi ai cannoli di dimensione spropositate che rendono ancor più lieta e allegra l’atmosfera festiva, ma soprattutto deliziano lo spirito e il palato.

~ LA RICETTA ~

Ingredienti per la “scorcia” (l’involucro):
800 grammi di farina
75 grammi di zucchero
Un pizzico di sale
150 grammi di strutto
4 uova
1 dl. di marsala
Canne dal diametro di circa 2 cm. e lunghe circa 12 cm. o cannelle di latta (non saldata)
Olio di semi per friggere

Per la crema di ricotta e la decorazione:
1 chilo di ricotta di pecora freschissima
600 grammi di zucchero
Un pizzico di cannella in polvere
Gocce di cioccolato fondente q.b.
Canditi o ciliegie candite q.b.
Scorzette di arance candite q.b.
Zucchero a velo q.b.

Preparazione delle “scorcie”: impastare la farina con gli altri ingredienti, in modo da ottenere una pasta piuttosto dura. Formare una palla, avvolgerla nella pellicola e farla riposare per circa un’ora.
Spianare la pasta in sfoglia sottile e ricavare dei dischi da 10 cm. di diametro, avvolgerli nelle canne unte d’olio e immergerle in abbondate olio bollente (due – tre per volta). Non appena la pasta sarà di un bel dorato scuro scolare e mettere a raffreddare su carta assorbente.

Preparazione della crema di ricotta: se la ricotta è molto umida, come dovrebbe essere, farla sgocciolare in modo da eliminare la maggior parte di siero. Amalgamare bene la ricotta con lo zucchero. Lasciare riposare per un’ora e quindi setacciarla. A questo punto unire la cannella e mescolare bene.
Confezioniamo i cannoli :riempire le scorze con la crema servendovi di un cucchiaino e di un coltello per spianare le parti estreme oppure di una siringa per dolci. Posare una ciliegia candita o delle gocce di cioccolato o dei canditi o delle scorzette di arancia candita alle estremità, mettere in un vassoio e infine spolverare con zucchero a velo.

Variante per il ripieno dei cannoli: dopo aver messo insieme ricotta, zucchero e cannella, potete aggiungere all’impasto le gocce di cioccolato o i canditi e poi decorare solo con una ciliegia candita posta alle estremità e spolverare con lo zucchero a velo.

Buon appetito!

venerdì 29 ottobre 2010

I frutti dell'Autunno


Ogni stagione ha i suoi frutti, da quelli freschi e succosi a quelli secchi dell'Autunno. Con Settembre comincia una stagione bella per molti (c'è più fresco, chi ha lavorato in Estate può andare in vacanza...), per altri noiosa (comincia la scuola, si esce meno, c'è meno gente in giro...), per altri ancora lavorativa (vendemmia, raccogliere castagne, olive, nocciole...). Dalle nostre parti, queste attività, col tempo, vanno scemando e a praticarle restano per lo più gli anziani.

Quando i nostri nonni erano bambini la frutta secca veniva chiamata "dolce dei poveri" e, per loro, costituiva una ricchezza. I "dolci" erano principalmente le castagne infornate, i fichi fatti appassire al Sole, le noci e le nocciole tostate.

Oggi con questi frutti possiamo fare tanto altro. Ecco alcune ricette:


CASTAGNACCIO:

600g di farina di castagne,
450ml di latte,
75g di zucchero,
20g di pinoli,
4 cucchiai d'olio d'olivo,
1 pizzico di sale,
1/2 bicchiere di liquore,
vanellina,
lievito.

Setacciare la farina con il lievito e la vanellina. Aggiungere lentamente il latte, 150ml d'acqua, liquore e mescolate fino ad ottenere un liquido cremoso. Aggiungere il sale, zucchero, olio, amalgamando bene. Versate in una teglia unta e distribuite i pinoli.
Mettere in forno a 180° per 50 minuti circa.


PANE ALLE NOCI:

300g di farina,
150g di noci,
scorza grattuggiata d'arancia,
100g di burro,
150g di zucchero,
1 uovo,
250ml di latte,
1/2 cucchiaino di sale,
lievito.

Imburrare lo stampo. Tritate le noci con un pò di zucchero, unite la farina setacciata con il lievito e il restante zucchero. Incorporate la scorza d'arancia, mescolate tutto e impastate con il latte, sale, uovo e burro liquefatto. Versate il composto nello stampo.
Cuocere a 180° nel forno per circa 1ora.


CIAMBELLA DI CASTAGNE:

200g di farina,
50g di farina di castagne,
110g di zucchero,
60g di burro,
100ml di latte,
10ml di miele millefiori,
2 cucchiaini di cacao amaro,
1 pizzico di sale,
vanellina,
lievito naturale.

Stemperate il lievito con il latte intiepidito e un cucchiaino di zucchero, fino a quando raggiunge un abbondante schiumeggiamento. Versate la soluzione in una terrina ed aggiungete, a poco a poco, le farine, il miele e il burro. Unite il sale ed impastate il composto fino ad ottenere una pasta morbida e liscia. Porre l'impasto in un recipiente coperto da un telo e lasciate riposare per 1ora circa. Trascorso il tempo, incorporate zucchero e cacao. Impastate e mettete in uno stampo imburrato e infarinato. Lasciate lievitare in un luogo tiepido per 25minuti e mettere in forno a 180° per 35minuti circa.

domenica 24 ottobre 2010

Ancora fango a S.Francesco


Continuano a S.Francesco le anomale ondate di fango che hanno segnato l'inizio di questo Autunno. La prima, ricordiamo, ha causato poche settimane or sono danni alle colture e disagi ad alcune famiglie nella zona adiacente al torrente. La causa è stata un erroneo smaltimento di ingenti quantità di terra che hanno ostacolato il naturale scorrere delle acque (si rimanda all'articolo del mese di Settembre "Il Mostro di Fango (grazie incompetenti!)"). La seconda colata ha interessato la zona circostante la chiesa e la scuola elementare di S.Francesco. E' stata invasa, questa volta, la piazza antistante la chiesa, il cortile di alcune abitazioni adiacenti e la strada che collega la zona alta della contrada con il torrente Zappardino.

Ancora una volta le origini del piccolo disastro sembrano da imputare allo smaltimento inadeguato della terra che a seguito di frane naturali o costruzioni di abitazioni viene tranquillamente gettata nel burrone più vicino. Poi, magicamente, al primo temporale, ecco apparire il fango…I danni chi li paga?

Promemoria per tutti i personaggi (indubbiamente molto competenti) che dimenticano alcune regole basilari: gli alvei di qualsiasi corso d’acqua non vanno MAI modificati, né intaccati né ostruiti. Se la natura ha impiegato anni per crearsi un percorso impiegherà pochissimo tempo a distruggere un'artificiale maldestra alternativa creando disagi e pericoli.


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 Foto: (in alto) la strada che porta alla chiesa di S.Francesco. In basso: il cortile della chiesa parzialmente invaso dal fango.

domenica 26 settembre 2010

U sulici e u purceddu


Sfogliando scritti antichi, dai papiri egiziani del 2000 A.C. fino ai più recenti Esopo, La Fontaine e i fratelli Grimm, è facile capire che da tempi immemorabili l'uomo ha cercato di tramandare  gli insegnamenti della vita dando agli animali intelligenza, parola, pensiero e tratti umani. Nascono così le favole, spesso tramandate per via orale di generazione in generazione. Spesso, poi, scopriamo che una favola non è altro che una versione poco diversa di un'altra antica di millenni. Segno che, forse, è proprio vero: niente di nuovo sotto il cielo.
Abbiamo deciso, così, di raccogliere, in lingua originale, favole dei nostri luoghi (la traduzione segue il testo in dialetto). Ecco la prima:


"U sulici e u purceddu"
C'era na vota un sulici e un purceddu. I du cumpari ievanu d'amuri e d'accordu: u porceddu manciava 'ntò sò scifu e u sulici ci ieva d'appressu pi si pigghiari chiddu chi l'autru lassava.
Allura, u porceddu, chi era sempri ben servitu, sfuttennu u sulici ci dissi: "Cumpari, vidi chi bella vita chi fazzu jò! Sugnu sempri ben sirvitu e riviritu e non mi manca mai nenti. Tu, inveci, chi vita misira e di fammi chi fa!"
E u sulici ci arrispusi: "Caru cumpari, chiddu chi dici tu è veru, ma a me chistu mi basta e mi sta beni!"
Ogni jornu si incuntravanu facennu u stissu discursu e u purceddu non fineva mai di vantarisi da sò bella vita. Allura, na vota di chisti, u sulici ci dissi: "Ma ta pozzu diri na cosa?"
U purceddu, surprisu, rispunniu: "Certu chi ma pò diri!"
E u sulici ripigghiò: "Cumpari, jò fazzu na vita misira, ma tu non mi pari u stissu di l'annu scorsu!"


"Il topo e il maiale"
C'era una volta un topo e un maiale. I due compari andavano d'amore e d'accordo: il maiale mangiava nella sua mangiatoia e il topo prendeva ciò che l'altro lasciava.
Allora, il maiale, che era sempre ben servito, canzonando il topo diceva: "Amico, vedi che bella vita che faccio io! Sempre ben servito e riverito e nulla mi manca! Tu, invece, che vita misera che fai!"
E il topo rispondeva: "Caro amico, quello che tu dici è vero, ma a me questo basta e mi sta bene!"
I due s'incontravano ogni giorno e, facendo lo stesso discorso, il maiale non finiva mai di vantarsi della sua bella vita, allora, un giorno, il topo gli disse: "Ma posso dirti una cosa?"
Il maiale, sorpreso, rispose: "Certo che puoi! Dimmela!"
E il topo riprese: "Amico, io faccio una vita misera, ma tu non mi sembri quello dell'anno scorso!"

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Sorgente: Turi da Ghiesa

Il Mostro di Fango (grazie incompetenti!)


Ogni anno la fine della stagione estiva è preannunciata dall’arrivo di brevi ma forti temporali (a volte piacevoli dopo una estate calda ed afosa). Tipicamente, l’acqua piovana defluendo crea graziosi “ruscelletti”, ma quest’anno, nel “vadduni di buffi”, SORPRESA! Un evento mai verificatosi: invece del tranquillo e simpatico ruscello, ecco venire giù un incredibile colata di fango (2metri in altezza) con detriti di vario genere. Purtroppo il problema non termina qui: prima di incontrare il torrente, il “vadduni” è percorso da un piccolo tratto di strada che accompagna alcune famiglie alle proprie abitazioni. Ebbene, le suddette famiglie, la mattina del 10 settembre sono state costrette a chiamare dei soccorsi per sgombrare la strada. NOTARE: innumerevoli richieste, negli anni, per la costruzione di un canalone per lo scolo dell'acqua non sono mai state ascoltate.

Come se non bastasse la colata ha invaso alcuni terrazzamenti (dette “rasole”) in cui vengono coltivate agrumi (vedi foto in basso).

Come mai si verifica un tal evento non registratosi prima d’ora? La risposta è semplice: verificatasi lo scorso inverno una frana che ostruiva una stradella sovrastante il “vadduni”, per liberarne il passaggio, gli addetti ai lavori, hanno semplicemente rimosso la frana abbandonando i detriti nel burrone sottostante invece di trasportarli in una zona “sicura”. A questo punto nel momento in cui piove, il materiale scende giù per il “vadduni”.
Ora c’è da dire che, oltre al disastro naturale procurato, un lavoro di sgombro semplice con qualche soldino e accorgimento in più, si è trasformato in un disagio per chi ci abita e un lavoro tutt’altro che economico per chi risponde a tale problema.

In conclusione c’è da tenere bene presente che gli alvei di qualsiasi corso d’acqua non vanno MAI modificati, né intaccati né ostruiti, ma soprattutto non vanno assolutamente DEVIATI. Se la natura ha impiegato anni per crearsi un percorso, impiegherà altrettanti anni a ricostruirne uno nuovo, creando disagi e pericoli per chi ci sta intorno.








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Foto: fango a San Francesco, danni per le strade, colture e persone. Grazie incompetenti!

domenica 12 settembre 2010

C'era una volta "u jornu di luminari"


Con grande piacere pubblichiamo il ricordo di un antico rito dei nostri luoghi ormai quasi dimenticato: le luminarie, grandi falò accesi dai contadini la sera precendente ad una festa religiosa come la ricorrenza della Madonna del Tindari (8 Settembre). L'autore è anonimo.

Erano gli anni ’70, gli anni in cui le contrade di Gioiosa erano popolate da tanti ragazze e ragazzi. Certo erano anni in cui ci si divertiva in maniera diversa: non c’erano discoteche da frequentare né tantomeno computers che ci tenevano incollati alla sedia. A San Francesco ci si incontrava lungo il torrente Zappardino, i maschietti a tirare due calci al pallone, le femminucce a giocare a “i baculi”, tutti insieme, tutti uniti, pronti a nasconderci tra le toppe all’apparire in lontananza del maestro Alfredo, buon grande maestro, ma era il nostro spauracchio. Eravamo un bel gruppo fra grandi e piccini (qualcuno non è più tra noi). Ci divertivamo con le cose semplici ma i tempi erano diversi (anche gli animi erano diversi) cosi aspettavamo con impazienza che arrivasse la vigilia del Tindari, il giorno delle “luminarie”.

Un paio di giorni prima si andava tutti insieme per le campagne a raccogliere legna da ardere che veniva ammucchiata fino a formare una piramide più alta possibile. Quanta fatica, ma quanto era divertente! Distanti l’uno dall’altro si e no 100 m e la sera della vigilia, finalmente, al tramonto, si stava tutti li affacciati a contemplare le nostre “luminarie” che con fiamme sempre più alte illuminavano il nostro torrente di una luce calda e soffusa.

martedì 7 settembre 2010

Settembre, si ricomincia


Cari innumerevoli lettori,
torniamo a scrivere dopo un’Estate di silenzio. Siamo a Settembre e, benché il capodanno caschi a Gennaio, sembra, ogni volta, che l'anno ricominci adesso, in Autunno.

Sarà che, finita l'Estate, il mare, le feste, pure la Natura sembra rilassarsi e rassettarsi un poco sotto i primi temporali. E' naturale, alla fine di un viaggio (inteso nel senso più largo possibile), fermarsi un attimo, voltarsi indietro, fare quattro bilanci e due o tre piani per il futuro prossimo venturo.


Cominciamo, noi, col voltarci indietro e c’è chi vede eventi importanti della propria vita (la fine o l’inizio dell'università o della scuola, cambiamenti nel lavoro, la patente, …), c’è chi vede le tante cose fatte assieme (dal pellegrinaggio a Tindari alle serate di Natale, dalla gita all’Etna ai tanti altri piccoli quotidiani eventi tipici delle amicizie buone). L'anno passato ha conosciuto pure la nascita del "Diario di Campagna", questo blog, che ha raccolto alcuni dei nostri pensieri, inquietudini, rabbie e malinconie, entusiasmi e passioni. Come detto altre volte, noi speriamo che questo “Diario” virtuale possa raccogliere voci dalle nostre campagne troppo spesso dimenticate, abbandonate a se stesse e, purtroppo, all’inciviltà di pochi (o di molti? Quanti che siano, di certo son troppi). Speriamo che raccolga idee che diano vita ad iniziative buone (piccole, probabilmente, ma buone) e in questo invitiamo chiunque a mettersi in gioco.

Cominciamo quindi il nuovo anno (che parte da Settembre) col proposito di riprendere l’attività del “Diario di Campagna” con almeno una pubblicazione mensile (e se hai un tema da proporre, un evento da ricordare, qualcosa da mostrare, non hai che dirlo); ripartiamo col proposito di allargare e curare la “Libera Biblioteca di San Francesco” (e ti invitiamo ad usufruirne). Infine, portiamo in mente il seguente pensiero: “valutare noi stessi non solo per quello che abbiamo fatto, ma per quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto”.

Non ci resta che augurarvi “buon anno!”

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Foto: "Settembre, alba di un giorno diverso da tutti gli altri"

domenica 6 giugno 2010

Il miracolo della vita

Dove: Gioiosa Marea, Piazza Claudio Villa, via G. Natoli Gatto.
Quando: Aprile 2010.
Cosa: il sopravvento della vita sulle architetture umane.

sabato 29 maggio 2010

Ricordando San Francesco da Paola


Patrono della CSan Francesco da Paolaalabria, di una contrada di Gioiosa, e della gente di mare, San Francesco da Paola nacque il 27 Marzo 1416. Già la nascita sapeva di miracolo, perché da genitori ormai avanti con gli anni. Dopo le molte preghiere rivolte a San Francesco d'Assisi, il bimbo arrivò e fin dalla gioventù portò i segni di una vocazione straordinaria: a tredici anni, colpito dallo stile di vita degli eremiti di Monteluco, si ritirò egli stesso a vita eremitica in un campo del padre. Nel 1436 nacque la comunità degli "Eremiti di frate Francesco", il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi.

Innumerevoli, i miracoli del santo ne fecero presto una figura nota specialmente nel meridione italiano. Particolarmente famoso è l'attraversamento dello stretto sul mantello: giunto sulle coste della Calabria con alcuni compagni, San Francesco chiese a un pescatore se li avesse potuti traghettare in Sicilia. Poiché i frati non avevano denari per pagarlo il pescatore rifiutò. Fu così che, senza scomporsi, San Francesco distese il mantello sui flutti, ne legò un bordo al bastone e vi salì assieme ai due compagni.

Il santo ebbe sempre a cuore la sorte dei poveri. Spessò alzò la voce contro i potenti per prenderne le difese a tal punto da essere considerato pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I d'Aragona. Nel 1473, durante il viaggio che San Francesco intraprese per la Francia, si fermò a Napoli, dove Ferdinando I gli offrì un piatto di monete d'oro da usare per la costruzione di un convento. Si narra che Francesco presane una l'abbia spezzata e, fuoriuscendo da questa del sangue, rivolto al sovrano disse: "Sire, questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio".

Diversamente dai suoi desideri, San Francesco trascorse gli ultimi anni della sua vita in Francia, al cospetto di re Luigi XI. Il sovrano, malato, ne aveva richiesto con insistenza la presenza a corte pregandolo di guarirlo. Francesco, nei molti colloqui, riuscì a covincerlo dell'ineluttabilità della condizione umana facendogli accettare, con serenità, la morte.

Il 2 Aprile 1507, a 91 anni, Francesco morì a Plessis-les-Tours. Fu proclamato beato nel 1513 e canonizzato nel 1519. La tomba, diventata presto meta di pellegrinaggi, fu profanata dagli ugonotti nel 1562 e il corpo del santo bruciato. Dopo molte vicissitudini, nel 1935, le poche reliquie rimaste furono riunite e riportate nella sua terra natale, nel santuario di Paola.

Approfondimenti e Fonti:

sabato 15 maggio 2010

Gioiosa Guardia, pulizie di primavera


Domenica 23 Maggio, tempo permettendo, è prevista una seconda giornata dedicata alla pulizia del sito archeologico di Gioiosa Guardia, ormai da tempo abbandonato ai cespugli, alle intemperie e alle nefandezze umane.

Chiunque volesse partecipare alle nobile impresa può recarsi sul luogo a partire dalle 7 del mattino. Saranno particolarmenti accetti tutti coloro in grado di maneggiare falciatrici elettriche. Chiunque volesse metterne a disposizione tenga presente che la benzina sarà fornita dal comune di Gioiosa Marea.
Accorrete numerosi!

martedì 11 maggio 2010

Finalmente puliti il giardinetto di San Francesco e la cunetta adiacente!


Nei giorni precedenti alla Pasqua in contrada San Francesco sono miracolosamente comparsi due operai dell'ANANAS (Associazione Nostrana Attualmente Non A Strafottenza). Dopo ANNI DI NORMALISSIMO ABBANDONO ISTITUZIONALE finalmente hanno ripulito l'angolo verde e la cunetta adiacente tra la scuola elementare/asilo di San Francesco e l'omonima chiesa.


Mossi a compassione dalle fatiche dei due, vari abitanti della zona e persino alcuni dalle contrade vicine hanno offerto il loro aiuto ai due improvvisati operai che sotto gli sguardi incuriositi dei passanti continuavano imperterriti la loro opera.

Particolarmente degno di nota risulta lo stato di totale abbandono delle nostre strade di campagna (E NON SOLO, come ben sappiamo!), spesso invase da erbe infestanti, rovi e belle ginestre. Le cunette e gli scoli sotterranei, inizialmente atti ad incanalare acqua e fango durante i temporali, ormai da anni risultano totalmente intasati e invasi da erbe, pietre, terra e rifiuti di varia natura. Risultato? Vengono meno al loro ruolo facendo sì che alle prime piogge acque e fango si riversino sulle strade rendendone pericolosissima la percorrenza. Aggiungiamo: strade che costeggiano burroni e salti di svariti metri raramente messe in protezione da guard rails o soluzioni di altro tipo.


L'angolo verde e la cunetta prima dell'intervento.


Gli operai dell'ANANAS.

venerdì 16 aprile 2010

Rimborso tassa sui rifiuti


La Cassazione ha finalmente stabilito che la
tassa sui rifiuti solidi urbani è di fatto una tassa e non
una tariffa; di conseguenza hanno applicato l'iva su un
importo dove non doveva essere applicata in quanto appunto"tassa".
Pertanto tutti gli utenti hanno diritto al rimborso del 10% dei
10 anni retroattivi; inoltre controllando sul sito
"Federconsumatori" si evince che chi richiede il rimborso (che come
al solito arriverà, lentamente ma arriverà) bloccherà di fatto
l'iva sulle prossime fatture. Chi non lo fa si troverà a continuare a pagare
tutto come prima perché, come capita solo in Italia,
gente come anziani o fasce inferiori che non conoscono i loro
diritti non ne usufruiscono "in automatico", ma solo se se ne
accorgono e fanno richiesta.

Riportiamo di seguito il modulo per la richiesta RIMBORSO:

Spett.le ...............
Via ............., ........................ (...)
Raccomandata A/R

Oggetto: richiesta di rimborso dell’IVA relativa al pagamento della Tassa di Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani.



Il/la sottoscritto/a ............................................., nato/a a .................................................. il ../../...., C.F.: ............................................... e residente in .................................., Via ........................... numero ... CAP ........., in qualità di : proprietario/ dell’immobile sito in .................., Via ................. n. ..., iscritto al Catasto del Comune di .........................., Sezione ...., Foglio ...., Pratica ..................;

PREMESSO CHE

ha regolarmente corrisposto per i/il suddetti/o immobili/e la TARSU comprensiva di Iva al 10%, come da fatture allegate alla presente.

Con la Sentenza numero 238/2009 la Corte Costituzionale nel rilevare la natura tributaria di TARSU e TIA, in particolare: “7.2.3.6. – […] Non esiste, del resto, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti […]. Se, poi, si considerano gli elementi autoritativi sopra evidenziati, propri sia della TARSU che della TIA, entrambe le entrate debbono essere ricondotte nel novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006; come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 16 settembre 2008, in causa C-288/07) esclude in via generale dall'assoggettamento ad IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità» ha di fatto inequivocabilmente escluso l’imponibilità ai fini IVA di codesta Tassa o Tariffa.

Ne consegue che l’Iva addebitata al sottoscritto e documentata dalle fatture in allegato risulta indebitamente corrisposta quindi
CHIEDE

Il rimborso di quanto versato e non dovuto come da tabella riepilogativa allegata, con riferimento agli ultimi dieci anni, oltre agli interessi legali decorrenti dal giorno dei singoli pagamenti;
l'immediata cancellazione dalle future fatture e dai ruoli della suddetta voce nonché la comunicazione alla società di riscossione ai fini dell'eventuale sgravio.

Si rimane in attesa di un Vostro riscontro, entro e non oltre novanta giorni dal ricevimento della
presente, con l’avvertimento che, decorso inutilmente tale termine, il sottoscritto si vedrà costretto ad adire la competente Autorità Giudiziaria per la tutela dei propri diritti.

La presente vale ad ogni effetto di legge quale formale diffida e messa in mora, anche ai fini interruttivi della prescrizione.

In fede,


Riepilogo Fatture:

Anno Fattura n. Importo totale fattura IVA versata


Totale IVA versata


Allegati:

copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../........;
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copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../........;
copia fattura n. del ../../.........


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Notizia inoltrata da "Arci Peppino Impastato" (S.Piero Patti, ME)
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venerdì 19 marzo 2010

Spinci di San Giuseppe


19 Marzo, festa del papà, si festeggia San Giuseppe e, come tradizione vuole, non può mancare il famoso dolce siciliano preparato in onore di questa ricorrenza. Parliamo di un dolce dalle origini antiche che i maggiori intenditori fanno risalire alla tradizione araba: le "spinci".

Il nome "spinci" deriva dal latino "spongia", ovvero spugna, e questi a sua volta dal greco "sfoggia".
Dunque frittelle morbide, gustose e asimmetriche, che sembrano delle vere e proprie spugne. In molti però, identificano l'origine del vocabolo nel termine arabo "sfang" col quale viene indicata una frittella di pasta addolcita con il miele e, in effetti, si tratta di un particolare tipo di frittella, ossia un dolce a base di pastella fritta in abbondante olio o strutto caldo.
Nonostante la fantasia dei pasticceri, le "spinci" non sono mai state trasformate significativamente dalla cultura siciliana, anzi sono rimaste identiche a quelle della tradizione araba.

In Sicilia le spinci sono dedicate a San Giuseppe, il santo protettore degli umili, come umili sono gli ingredienti del dolce. Viene preparato, quindi, per la festa del papà, ma nelle altre regioni d'Italia, è un piatto degustato per San Martino, per l'Immacolata o per Natale; inoltre in alcuni paesi non è un dolce ma un piatto salato dal preparato completamente diverso da quello siciliano.
Oggi le spinci sono facilmente reperibili in ogni pasticceria siciliana. In passato la loro preparazione (tutt'altro che semplice) era affidata alla maestria delle donne. Con un dispendio di energie non indifferente bisogna lavorare l'impasto in maniera continua al fine di fargli incorporare la maggior quantità d'aria per rendere le spinci morbide e tenere sotto controllo la temperatura al momento della frittura dell'impasto. Questo particolare tipo di lavorazione consente alle spinci di gonfiarsi diventando soffici e dorate.

Spincia, sfincia, sfincitedda e sfinciuni indicano prodotti diversi, appartenenti ora a preparazioni salate, ora a preparazioni dolci, provenienti ugualmente dalla stessa famiglia delle spinci. Esistono, quindi, vari tipi di spince; qui di seguito vi proponiamo quelle più gettonate e conosciute!

  • SPINCI
Ingredienti
½ litro d’acqua
100gr di burro
300gr di farina
7 uova
Un pizzico di sale
Zucchero

Preparazione

Sciogliere il burro in un tegame con l’acqua e aggiungere un pizzico di sale. Quando il burro è sciolto, spegnere il fuoco e unire la farina a mestoli, mescolando ogni volta, in modo da incorporarla bene senza creare grumi. Lasciare raffreddare per 20 minuti e successivamente incorporare le uova una a una, mescolando ogni volta. Quando l'impasto è omogeneo, lasciarlo riposare per 30 minuti. Scaldare l'olio di semi in un tegame (meglio se con cestello) e, quando è bollente, friggere l'impasto, pescandolo con il cucchiaio. Quando sono ben dorate, scolare le spince e deporle su carta assorbente. Spolverare con zucchero.

  • SPINCI RIPIENI CON CREMA DI RICOTTA O CON CREMA PASTICCERA
Ingredienti
450gr di farina
8 uova
Un pizzico di sale
2 bustine di lievito
2 bustine di vanillina
Zucchero
Crema di ricotta o crema pasticcera q.b.

Preparazione
In una ciotola mescolare farina, lievito, vanillina e sale. Versare tutto in un frullatore e aggiungete le uova. Continuare a frullare e lasciare riposare l’impasto per circa 15 minuti. Scaldare l’olio di semi in un tegame e, quando arriva a temperatura alta, prendere l’impasto con un cucchiaio dandogli una forma arrotondata e metterlo a friggere. Quando diventano dorate, uscire le spince dall’olio e metterle a scolare su carta assorbente. Tagliarle trasversalmente e farcirle con crema pasticcera o con crema di ricotta. A piacere, si possono anche aggiungere gocce di cioccolato o frutta candita. Infine passarle nello zucchero e servirle.

  • SPINCI DI RISO
Ingredienti
375gr Latte
250gr Riso bianco
50gr Farina
50gr Zucchero
5gr Lievito di birra
Cannella in polvere q.b.
1 Arancia

Procedimento
Versare in un recipiente il latte e un uguale quantitativo di acqua, metterlo sul fuoco e appena alzerà il bollore unire il riso: quando sarà cotto toglierlo dal fuoco e lasciarlo così, come si trova. Una volta freddo, aggiungere la scorza grattugiata di mezza arancia, un pizzico di cannella, 25 gr. di zucchero, la farina e il lievito di birra. Mescolare bene, quindi porlo in luogo tiepido lasciandolo lievitare per due ore. Metterlo allora su un tagliere di legno o su un ripiano e con una spatola staccare con garbo il composto dandogli una forma più allungata e spingendolo nell'olio bollente. Lasciare dorare le spince e appena tolte dall'olio passarle nello zucchero e servire.

  • SPINCI CON UVA PASSA
Ingredienti
500 gr. di farina
1 cubetto di lievito per pane
100 gr. di uva passa
zucchero
sale.


Procedimento
Porre la farina in un'ampia scodella e unirvi il lievito, il sale e 1 cucchiaio di zucchero, aggiungere poco alla volta dell’acqua tiepida continuando a rimestare aggiungendo poco alla volta l’uva passa previamente fatta rinvenire in acqua tiepida, sbattere energicamente il composto con un cucchiaio di legno fino a quando non si attaccherà più al cucchiaio.
Coprire la scodella con un tovagliolo e lasciar riposare fino a lievitazione.
Preparare una casseruola nella quale già sfrigoli olio d’oliva in abbondanza e versare singole cucchiaiate del composto; farle dorare (friggendo si gonfieranno vistosamente) e deporle su dei fogli assorbenti. Sistemarle in un vassoio spruzzandole di zucchero.

Buon Appetito!!!







domenica 14 marzo 2010

Luoghi e parole


Sotto "Luoghi e Parole" raccoglieremo immagini di luoghi nei dintorni di Gioiosa Marea, luoghi ignoti ai più, e che val la pena visitare per le loro bellezze naturali.


  • "Era il tramonto di un giorno tempestoso e l'occidente mutava l'onda in fiamme nel suo ardente braciere"([V. Hugo]) quando ci trovammo a scattare questa foto in contrada Santa Domenica, una delle zone più sopraelevate di Gioiosa Marea. Dalla "panoramica", costeggiata dalle vigne, verso i ruderi di Gioiosa Guardia, capita, a volte, d'essere sorpresi dalla sera e assistere a spettacoli silenziosi della natura, come questo:


Nella foto (da sinistra a destra): il Monte Castelluccio, Capo d'Orlando, la Pineta di Piraino. Santa Domenica può essere raggiunta in macchina da Gioiosa Marea in circa 15-20 minuti. Percorrere la strada che costeggia il torrente Zappardino finché non svolta per contrada Maddalena, quindi raggiungere contrada Francari e continuare fino al bivio per Motagnareale.

domenica 21 febbraio 2010

C'era una volta "a forgia du 'zu Pippinu"


S’è vero che treni, aereoplani e macchinine hanno accorciato le distanze è anche vero che hanno svuotato le strade togliendovi la vita che, a quanto pare, un tempo vi fioriva rigogliosa. Noi non c’eravamo. Queste cose le sentiamo raccontare. Si camminava, per le strade, a piedi e, certo, servivano ore per andare e tornare da Gioiosa. Questo non era comodo, né conveniente, ovvio, ma s’intrecciavano storie più vere di quelle che si possono intessere su uno squillo di clacson tra due auto in corsa nel senso opposto.

E così, camminando camminando, ci si può imbattere, oggi, in quelle pieghe dello spazio e del tempo di cui il mondo moderno sembra essersi dimenticato. Nella sua fretta, qualcosa dovrà pur lasciarsi indietro! Tra queste pieghe c’è una casetta, una stamberga, ormai, smangiucchiata dalla fame del tempo. Se le storie lasciassero echi sentiremmo ancora, passandoci vicino, il martellare, sull’incudine, del martello, qualche asino ragliare, schiamazzi di bambini e di ragazzi e la gente chiamare. E se le storie lasciassero odori sentiremmo ancora del carbone e l’odore pungente degli zoccoli bruciati.

Questa era ‘a forgia (la fucina) du ‘zu Pippinu. Costruita a San Francesco negli anni ’50 lungo il torrente Zappardino rimase in funzione per una ventina d’anni. Il lavoro cominciava la mattina, tra le 7 e le 7:30, e continuava fino a sera. La gente, contadini, falegnami, commercianti, vi portavano ad aggiustare gli attrezzi del mestiere e della casa (zappe, accette, coltelli…), si tosavano e si ferravano gli asini, i muli e i cavalli. Qualche ragazzo di tanto in tanto aiutava. E chi all’epoca era ragazzo ancora oggi racconta storie che germogliavano lì attorno.

Nei giorni di sole ci sediamo, a volte, sul muretto di Luigi, accanto a quel che oggi resta della forgia. Nel silenzio della campagna una macchina sfrecciante insegue il tempo, di tanto in tanto, lungo il torrente e somiglia, nel rumore, ad un moscone o ad un tafano, soltanto un poco meno elegante. Tra gli interstizi delle mura vecchi ferri di cavallo, una chiave e il grosso anello per legarvi i muli, immobile e arruginito. Aspetta chissà cosa. Arriva ogni tanto l’odore del carbone. Sembrano vere tutte le storie.


Nella foto in alto (da sinistra a destra): Nino Nardo, Peppino Spanò, Luigi Manfré, Peppino Giardina, Antonio Lena.
Nella foto in basso: quel che resta della vecchia forgia. Una vecchia casetta appoggiata al "Saloon" di Luigi e al tabacchino da 'Za Nina.


domenica 10 gennaio 2010

Ricordando... ...la tombola di Padre Carmelo.


C’erano ancora i bracieri (le "conche"), in quelle sere d’Inverno dei primi anni novanta, e le stufe quelle piccole, elettriche, coi tre tubicini incandescenti e i due bottoni per accenderne solo due o tutt’e tre. Le stanze troppo grandi per essere calde, volentieri ci s’acquattava sotto le coperte, quelle pesanti e marroni o a quadrettoni rossi e neri. Meglio erano le cucine a legna che, allora, come ora, facevano l’aria densa e pesante di calore. Tra panettoni, fichi secchi e noci, a completare il quadro l’albero di Natale fitto di luci e “stelle filanti” iridescenti e colorate, rosse, verdi e gialle e grosse come i salami che ora non s’usano più. C’erano pure, sicuro più c’adesso, le radio nelle nostre case.

Non poteva la nostra memoria, in queste sere d’Inverno, tra tombole e sett’e mezzo, non andare a quei tempi, quando Padre Carmelo, sull’esempio di Padre Pippo, faceva la tombola alla radio dalla chiesa di Casale, fredda e umida, allora come oggi. “Unni Ricu” e “unni Luigi” si compravano le schede per giocare da casa. Poi, a sera, Padre Carmelo e qualche decina di parrocchiani, tra sciarpe e giubbotti imbacuccati, cominciavano la tombolata in quella chiesetta alta dove il vento soffia forte e irrispettoso. Il gioco, trasmesso alla radio, era seguito da casa, da tutte le contrade, e una telefonata a Casale avvertiva dell’avvenuto ambo, terna o quaterna o quel che fosse. Poi si ritiravano i premi.

Un affettuoso saluto a Padre Carmelo che, in quegli anni, ci dedicò il suo tempo e la sua concretezza.