martedì 27 settembre 2011

Sulla direttiva 2008/98/CE - in risposta all'articolo dell'avv.Amato

Quanto segue è una risposta all'articolo pubblicato dall'amico Vincenzo Amato sul sito Nebrodi e Dintorni in merito alla direttiva 2008/98/CE secondo la quale “la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola e forestale si configura come illecito smaltimento di rifiuti, sanzionabile penalmente con l'arresto”.  La direttiva, direi naturalmente, ha scatenato il malcontento della società contadina e non solo. Questo è il mio parere a riguardo:



Premetto che cerco limitare al massimo i miei interventi in materie non di mia competenza per minimizzare il numero di stupidaggini messe al mondo, tuttavia le mie radici contadine, una pur limitata esperienza agricola e un'educazione improntata al "metodo" scientifico mi portano a formulare un discorso che potrebbe risultare sensato. Chi è del mestiere, e disposto a riflettere, saprà giudicare con cognizione di causa.


Quanto previsto dalla direttiva mi sembra esagerato, soprattuto tenendo conto dell'assenza, nella nostra zona, di questi fantomatici centri per la raccolta. Come diceva Vincenzo, la direttiva sottolinea, ancora una volta, "quanto grande sia lo scollamento tra i palazzi del potere ed il paese reale" (si veda anche la recente, tragicomica allusione dell'illustr.mo ministro Gelmini all'ormai famoso tunnel che collega il CERN ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso!). Inoltre, vista l'estrema diversità dei territori di interesse, è irrealistico che una sola legge in materia di agricoltura possa ben adattarsi a tutto il territorio. Infine, le caratteristiche orografiche della nostra zona spesso non facilitano assolutamente lo spostamento di materiale di alcun genere (siano sacchi di olive, nocciole o fascine). 

Giustificazioni ambientali?
Ho voluto approfondire qualche aspetto menzionato da Vincenzo: in quale misura la norma relativa ai "rifiuti" agricoli sia giustificata da esigenze di tutela ambientale?
Il fatto che una pratica sia ben radicata e sprofondi nella memoria non prova che sia esente da difetti anche gravi, né prova che sia la migliore che si possa attuare. Qualche ricerca mi ha portato a leggere degli articoli relativi ai danni causati dal fumo da legname. Chiaramente solo un esperto può dare un giudizio "robusto" (gli studi, per quanto accurati, alle volte vengono smentiti, ma questi risultati mi sembrano ampiamente accettati…). Nel testo che segue i numeri in parentesi quadra indicano referenze alle fonti riportate a fondo pagina. Si vedano pure gli articoli consultabili direttamente dai siti linkati.
Con mio stupore sembra che dietro questa direttiva ci siano esigenze di tutela della nostra salute (non dico che chi l'abbia redatta ne sia consapevole!). Da piccolo mi insegnavano che "bruciare legna non inquina" (e questo è sostenuto a gran voce da chi vende caldaie a legname): la quantità di CO2 liberata a seguito della combustione di piante è la medesima che verrebbe liberata durante la decomposizione che avverrebbe in tempi brevi. Vero. Tuttavia, dagli USA all'Italia all'Australia pubblicazioni scientifiche sostengono che il fumo prodotto dalla legna trasporti pericolose polveri sottili dalle dimensioni inferiori ai 2.5micron (millesimi di millimetro) [1]. Per confronto, le famigerate polveri sottili dei gas di scarico hanno dimensioni tipiche superiori (fino ai 10 micron) [4], [5]. Più le particelle sono piccole, più sono dannose perché riescono a penetrare in profondità nei polmoni dove possono depositare sostanze tossiche [2]. Proprio a causa degli effetti pericolosi del fumo da legna si sconsiglia fortemente di bruciare legna umida o non secca [3], com'è tipico in campagna. Per questi motivi Stati Americani e Australiani vietano ormai da tempo i fuochi all'aperto (in alcuni casi persino i barbecue).
Quindi, respirare fumo da legname é pericoloso quanto e anche più che respirare gas di scarico e vietare i fuochi all'aperto non è una novità del mondo civilizzato. Ovvio che, come altre cose, molto dipende dalle dosi. 


Soluzioni costruttive

Al di là della direttiva, al di là degli effetti sulla nostra salute, io penso che questa sia un'occasione per prendere in seria considerazione soluzioni alternative alla combustione in loco (quando possibile). Spero che le reazioni negative  non siano dettate dal (solito) rifiuto al cambiamento e all'esplorazione di nuove soluzioni. Atteggiamento che trovo molto ben radicato nelle nostre zone (e.g. quanto è difficile indurre chi abita in aperta campagna a disporre i rifiuti organici nella terra piuttosto che nella spazzatura). Inoltre,  osservo spesso nelle nostre campagne un'eccessiva tendenza al bruciare. Per lo meno, è quello che vedo tra familiari e vicini delle contrade. E.g. pochi mesi or sono abbiamo rimondato dei meli. Il destino dei rami era segnato: in breve sarebbero stati bruciati sul posto. Incurante della sentenza un pomeriggio me ne andai nella "robba" armato di accetta, sfoltì i rami, divisi il legname per sezione e lo portai a casa. Tra poco finirà nel camino. Se trasportare il legname non comporta fatiche sovrumane, mi sembra un uso più efficiente dell'energia liberata dalla combustione.

Allo stesso modo, avendo spazio, erbe e rami di piccola/media sezione si possono lasciare marcire sul luogo a beneficio del suolo. Interessante è la riflessione di questo chimico sull'uso delle cippatrici e la discussione generata: http://federicovalerio.splinder.com/post/13558877/incendi-cippare-o-bruciare, si tenga conto anche di questa risposta http://it.groups.yahoo.com/group/noinc/messages/4517?threaded=1&m=e&var=1&tidx=1 (nel nostro caso penso che non si ponga il problema dell'integrazione con la "catena aimentare" delle piante visto che il cippato resterebbe sul luogo).

Come suggerisce qualcuno più ottimista (qualità che apprezzo molto perché spesso porta soluzioni costruttive invece che critiche aride), questo nuovo "problema" potrebbe essere sfruttato da chi ha un po' di iniziativa e qualche soldo da investire per generare nuove attività. Ovvio che, come ogni cambiamento, la transizione non sarebbe "indolore". Comporta adattamenti e nuove strategie. Ma, si sa, spesso i miglioramenti richiedono dei sacrifici che poi ripagano. La transizione verso nuove soluzioni dovrebbe essere supportata dalla comunità. Ovvero, come suggeriva il già citato chimico, il comune potrebbe provvedere delle piccole cippatrici a gasolio con ruote, o meglio cingolati (i costi partono dai 1000E, in fin dei conti quanti soldi spariamo nel cielo a Ferragosto?), chi possiede agriturismi potrebbe favorire la reintroduzione del mulo e dell'asino (che fino a pochi anni fa si vedevano ancora per le nostre campagne, anche quelli da millenaria tradizione!), da impiegare per i lavori nelle zone più impervie. Nelle stesse zone si potrebbero creare e promuovere itinerari naturalistici favorendo un'estensione dell'attività turistica al periodo autunnale (Gioiosa si vanta tanto per essere una meta turistica, ma io il merito principale lo conferisco al mare e agli scenari naturalistici per lo più sottosfruttati - da "sfruttare"nel senso migliore del termine). Infine, ma questo sarebbe l'inizio per un più interessante sviluppo, qualcuno di competenza, sempre dal comune possibilmente, potrebbe impegnarsi per fare in modo che i prodotti agricoli della zona passino direttamente dal produttore al consumatore (1) favorendo l'economia locale, (2) promuovendo un commercio più ecosostenibile (sapete quanto inquina portare al supermercato le mandorle dalla California, le arance dalle Spagna mentre i nostri contadini, a due chilometri dal paese ricevono come unica offerta per gli agrumi appena raccolti qualcosa tipo 6 centesimi al chilo?), (3) contrastando attività criminali che lucrano sul trasporto delle merci (è noto che il prezzo di certi prodotti è proporzionale al numero di chilometri che ha percorso. Avviene così che tizio x deve vendere a tizio y i suoi prodotti, questi partono, arrivano a Milano e tornano al luogo di origine con 2000 sonanti km in più e intanto il contadino se la prende in quel posto, chi compra in qualche altro...), etc etc…vogliamo contrastare l'abbandono delle campagne? Direi che non basta permettere l'incendio controllato. Da ignorante, incendi o no, intravedo una tendenza che nel giro di pochi anni porterà comunque ad un significativo abbandono delle terre. Conosco contadini che continuano a coltivare arance e limoni non per il rendimento, ma per il legame affettivo alla loro terra.

Certo, se nulla deve cambiare (i metodi), allora deve cambiare tutto (abbandonare la terra). Quel Tomasi di Lampedusa c'aveva la vista buona.

Conclusioni
In breve, penso che la direttiva, qualora non supportata da adeguate ed efficaci soluzioni da parte del comune o da privati, risulti solo dannosa ai fini della manutenzione delle terre. Tuttavia, nel tentativo di salvaguardare le terre coltivate, inviterei a considerare azioni di più ampio respiro sia da parte dei comuni che dei singoli proprietari.

Referenze

4.             http://it.wikipedia.org/wiki/Particolato
5.             http://it.wikipedia.org/wiki/PM10

Varie:
                http://www.ecodallecitta.it/notizie.php?id=3022 ("Quale impatto hanno le micropolveri da combustione della legna", breve intervista a Paolo Natale - Arpa Piemonte).
                http://www.environment.nsw.gov.au/air/dopahhm/summary.htm (Sito -governativo- del New South Wales, Australia - Ambiente e Patrimoni Naturalistici).