domenica 27 marzo 2011

Dell'unità d'Italia

Centocinquant'anni or sono, l'unità d'Italia.  Celebrazioni di questa ricorrenza hanno luogo in tutto il mondo, li dove ci sono italiani. Persino nelle fredde paludi del Nord America, a Rochester, dove questa pagina è stata scritta, al Rochester Institute of Technology, si organizzano cineforum, dibattiti e conferenze che avranno luogo da Marzo a Maggio. A Gioiosa Marea, il nostro paese, sulle spiagge luminose e le acque limpide dell'italianissimo Tirreno, l'evento passa, ai più, inosservato e sorgono, legittime, domande sul perché di questo silenzio. L'indifferenza individuale, la mancata iniziativa dell'ammiistrazione locale, la delusione di molti nei confronti delle istituzioni potrebbero essere una risposta. Pubblichiamo quindi le riflessioni di due gioiosani atipici: l'avv. Vincenzo Amato, compaesano non "sulla carta", ma di certo "di fatto", e Davide Lena, perennemente altrove, ma col pensiero a casa.

A chi è già pronto ad attaccare una bandiera colorata a questo blog, ribadiamo, come specificato nella pagina "Chi siamo", che qui si accolgono idee, si raccontano fatti, si avanzano ipotesi. Si cerca di costruire, assieme, un mondo migliore. 

Ben vengano ulteriori interventi (specialmente se costruttivi).




A Gioiosa Marea perché non si è festeggiata l'unità d'Italia?

A Gioiosa Marea non si è svolta alcuna manifestazione per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia
Gioiosa Marea (Me), 17/03/2011 - Dappertutto, e segnatamente nei paesi limitrofi, la ricorrenza è stata comunque ricordata e si sono svolte diverse manifestazioni che hanno visto protagonisti le scuole, le istituzioni, cittadini, imprenditori ed associazione varie. A Gioiosa, invece, silenzio assordante. Cosa significa tutto ciò? È semplice disinteresse, oppure è il sintomo di qualcosa di più profondo e, forse, più pericoloso?

A me sembra che da qualche anno la nostra comunità stia pericolosamente scivolando verso uno stato di fatalismo assoluto. Una società che sembra avere perso la speranza. Una sfiducia totale nel futuro. La malattia peggiore che può colpire una società è la rassegnazione e la perdita della speranza. Ho la sensazione che questo tarlo si stia insinuando sempre più nella nostra comunità che appare pervasa da un senso di sfiducia totale. Una mancanza di futuro che la porta ad essere rassegnata ed incapace di elaborare progetti, idee che vadano al di là del contingente e dell’immediato. Che si avvolge su se stessa, che rimpiange i fasti di un passato ormai lontano, anche per consolarsi delle distanza che ormai la separa da altre comunità.

Un clima da fine impero che porta a concentrarsi sull’effimero, sulle feste fine e se stesse, come se non restando nulla in cui avere fiducia occorre trascorrere il tempo che rimane nelle sfrenatezza totale. E’ quello che facevano gli appestati nel medio evo che sapendo di essere condannati a morire trascorrevano i loro ultimi giorni in feste, balli e divertimento sfrenato. Io non ho nulla contro le feste ed il divertimento, anzi sono essenziali e rappresentano momenti importanti per le vita di una persona e per la società in genere. Però devono essere uno strumento per star meglio e non il fine per cui vivere. Quando diventano fine a se stesse, c’è qualcosa che non va. Quella società perde slancio capacità di progettare, di crescere di essere protagonista del cambiamento e dell’innovazione.

Molti si chiederanno quale relazione ci sia tra quanto detto e la mancata celebrazione dell’anniversario dell’Unità d’Italia. Invece la relazione c’è. Una ricorrenza così importante, dall’altissimo valore civile e simbolico e che costituisce un valore fondante per qualunque cittadino italiano non può passare quasi totalmente inosservata in un’intera comunità. Ciò, a mio giudizio, costituisce un grave sintomo dei problemi sopra evidenziati riguardo ai quali ogni persona di buona volontà ha il dovere di reagire prima che sia troppo tardi. Confesso che girare per le vie del paese senza aver visto alcuna celebrazione, senza aver sentito intonare l’inno di Mameli, aver visto le bandiere ed i locali addobbati con il tricolore, mi ha molto disturbato, ho quasi avuto la sensazione di non essere cittadino Italiano. Mi rammarica molto che ciò possa essere accaduto nella bella Gioiosa.

Io non intendo accusare nessuno. La responsabilità, se così si può dire, è collettiva. Ciascuno di noi fa parte della comunità ed è bene che si faccia l’esame di coscienza, ovviamente in base ai ruoli che occupa. Io nel mio piccolo mi sento responsabile per quello che avrei puto fare e non ho fatto.

Mi auguro che quelle esposte siano impressioni sbagliate. Però meglio una diagnosi sbagliata riguardo ad una malattia grave che poi si scopre non esserci, piuttosto che sottovalutare dei sintomi di una malattia mortale che quanto si manifesta è ormai è troppo tardi. Auspico che queste mie brevi considerazioni possano stimolare delle riflessioni costruttive. In un passato non troppo lontano Gioiosa Marea era all’avanguardia in provincia di Messina per la vitalità culturale, sociale, imprenditoriale, senso di civismo, progresso sociale. Oggi purtroppo non è più cosi. Per riconquistare il terreno perduto, per uscire dal fatalismo e dalla rassegnazione, per tornare protagonisti, occorre uno scatto di orgoglio. Occorre che tutte le persone di buona volontà riacquistino slancio e voglia di fare, di scommettere sul futuro ed impegnarsi concretamente.

Mi auguro che la rassegnazione non prevalga, che ognuno diventi parte attiva, che si schieri, che prenda posizione che alimenti il dibattito. Che dia contributi di idee, che operi concretamente per il miglioramento delle società, in sostanza che assolva fino in fondo al suo ruolo di cittadino, che non rimanga indifferente, perché l’indifferenza, a mio avviso, è la peggiore situazione in cui possa trovarsi un individuo e la società di cui fa parte. In proposito voglio chiudere questo mio “sfogo” con una famosa frase di Gramsci, portata al conoscenza del grande pubblico in occasione dell’ultimo festival di San Remo: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Ecco mi auguro che ogni cittadino faccia proprio questo slogan: IO NON SARO’ PIU’ INDIFFERENTE”.

avv. Vincenzo Amato



 Un'ipotesi 

Caro Vincenzo,
come te, cerco sempre di giudicare me stesso con un occhio di riguardo a quello che avrei potuto fare e non ho fatto. Agli indifferenti sono insofferente, e così ai loro piagnistei, alle loro bestemmie, alla loro capacità di trovare tempo per tutto e non fare uno sforzo per cambiare, nel nostro piccolo, il mondo. O non farlo peggiore di quello che è. Per questa ricorrenza io non ho fatto niente, e neppure ne ho sentito la necessità. Non sarà doveroso, probabilmente neppure interessante, ma vorrei spiegare i miei perché.

Innazitutto, ritengo che ci siano, come sempre, almeno due punti di vista dai quali osservare il fatto. E non necessariamente uno è migliore dell'altro. Sono diversi. Tutto qua. Tu, mi pare, celebri l'idea, lo spirito, la gente di buona volontà che si è adoperata e si adopera per il nostro Paese. E questo è un fatto ( da encomiare). A me, invece, in questa ricorrenza, vengono in mente quelle che vorrei definire "le istituzioni per come sono" (o almeno per come io le ho sperimentate). Festeggiare l'unità d'Italia a me sembra festeggiare le istituzioni che l'Italia rappresentano. E cosa sono le istituzioni nella mia esperienza (qualcuno penserà "poca", io dico che "un quarto di secolo è abbastanza")?

Per me, gioiosano in qualche modo, le istituzioni sono quelle che per molti anni ormai non si sono curate del crollo della strada statale che collega Gioiosa con la Sicilia orientale influenzando, di fatto, in maniera significativamente negativa l'economia e (quindi) la vita di ogni cittadino. L'Italia è quella che sommessamente mi ha suggerito di preparami due valige, una volta laureato, e dare un'occhiata altrove perché investire sull'educazione non è tra le nostre priorità (34 paesi fanno parte dell'OCSE/Organization for Economic Co-operation and Development/ e noi siamo al …33-esimo posto nella scala Pil/investimento sull'educazione). L'Italia è quella che mentre io spendo le mie giornate ad imparare da gente di altre nazioni, ad apprezzarne la cultura, le religioni, la cucina, è guidata anche da gente che si preoccupa di confinare i meridionali al Sud. Individui talmente ingenui da vantarsi di non essere mai scesi più a sud di… Eppure i miei nonni e/o bisnonni per questo Paese sono andati in guerra come tutti gli altri. L'Italia è quella dove guardando un telegiornale sembra che sia guidata da branchi di politici ignoranti impegnati a farsi i dispetti invece che a cooperare per mantenere un Paese; l'Italia è quella che permette a chi ha un passato poco limpido di porsi alla guida del Paese. L'Italia è quella dove per qualsiasi cosa ci vuole una raccomandazione e "la conoscenza" (non quella omerica). Ma non andiamo troppo lontano perché scivolare nei luoghi comuni è fin troppo facile, specialmente per me che, a quattro passi dal Canada, ho ancora venti centimetri di neve.

Mi si potrà chiedere "tu che hai fatto?" Io faccio il ricercatore, e non il politico. Credo a chi suggeriva che per fare un mestiere ci vuole un po di vocazione. Ma qualcosa, per la comunità, faccio. A Gioiosa, i miei dialoghi con le istituzioni, ristretti all'ambito delle mie competenze, spesso sono stati più che altro monologhi accompagnati da sorrisi dalla dubbia natura.

In conclusione, dal mio punto di vista, che è solo uno tra i tanti, festeggiare l'unità d'Italia non è molto diverso dal festeggiamento del proprio anniversario di fidanzamento da parte di una coppia sul punto di divorziare. Assolutamente privo di senso. Ma come dicevo, se l'oggetto del festeggiamento è lo spirito che ha portato all'unità d'Italia, allora questa è un'altra storia. Tuttavia mi sembra sensato ipotizzare che parte della mancanza di entusiasmo per questa ricorrenza sia da imputare a sentimenti non dissimili dal mio.

Davide Lena