sabato 21 maggio 2011

A Ziula e u Fuanu, ovvero l'Allocco

Com'è che faceva quel canto? Veniva dalla notte, dagli ulivi e dalle querce antiche. Saranno passati vent'anni ma sembra accadesse ieri. Il mondo era diverso, una ventina d'anni fa, quando ancora le case erano quelle di una volta, con la cucina a legna, il pavimento a marmette di graniglia usurate e scollate, una credenza di quelle che non si trovano più con due o tre foto scolorite dei parenti d'America o una famiglia che già allora non c'era più; le porte in legno, verdi, un poco rozze, sempre aperte. Così, di sera, capitava di ritrovarsi in cucina e dalla porta aperta arrivava, a zittire i discorsi, il lugubre bubolo di un uccello notturno. Veniva dalla notte, dagli ulivi e dalle querce antiche; veniva dal cielo plumbeo, pesante e cupo, dai valloni intrisi di quelle notti umide di Ottobre. "U sintisti?" ("L'hai sentito?") mi dicevano, "chissu è u fuanu" ("è il "fuanu""), "e chi è?" ("cos'è?"), "E'n'aceddu ranni, chi vola di notti" ("E' un grosso uccello che vola di notte"). E così, spostavo le tende, sporgevo la testa, e dalla soglia della porta guardavo nel buio, tra gli ulivi e i castagni, con l'orecchio teso per sentire se cantava ancora. A me, paura non ne faceva. Lo immaginavo, come un grosso gufo dagli occhi gialli, come la Luna, appollaiato nella notte su qualche ramo di quegli alberi secolari, in cima alle querce altissime che crescevano lì dove neanche a piedi si poteva arrivare. Poi cantava di nuovo e subito cercavo con gli occhi una sagoma volare nel buio. Non la vedevo mai. A volte, forse, era un disegno dell'immaginazione.

E poi c'era "a ziula" che, da qualche parte tra gli aranci, strillava mentre i più anziani facevano gli scongiuri perché "a ziula porta mali". E fosse mai che venisse a cantare sulla casa. Qualcuno, a breve, sarebbe morto o una qualche disgrazia si sarebbe abbattuta sulla famiglia. Io mi divertivo a imitarne il richiamo nella speranza di ricevere risposta. Mi riusciva!

Questi erano, e sono, nella cultura contadina delle campagne Gioiosane "a ziula e u fuanu", creature mitologiche più che animali, sfuggevoli abitanti della notte, premonitori di disgrazie o creature affascinanti, giacché viste e non viste, destinate ad alimentare  paure e fantasie, favole e racconti.

Sono davvero due uccelli diversi "a ziula e fuanu"? A dire il vero pare di no. Questi canti della notte sembrano appartenere alla medesima creatura: l'allocco (strix aluco). Il canto del "fuanu" sembra essere quello del "tipico maschio", potete ascoltarlo cliccando su "Typical Call" ("Richiamo Tipico") nella pagina aperta a questo link. Mentre il verso della  "ziula" è quello di una femmina "showing aggression". Chi l'avrebbe mai detto!

L'allocco nidifica in questo periodo nella nostra zona cibandosi di ratti, topi, arvicole, talpe, piccoli uccelli, rettili e lombrichi. Finalmente siamo riusciti ad osservarlo più da vicino. E'stato osservato nel 2010, quando una coppia ha nidificato nelle rovine di un vecchio mulino e nuovamente quest'anno un'altra coppia ha nidificato su un albero in un vecchio nido di gazza dando alla luce tre pulcini. Da notare che i pulcini scendono spontaneamente dal nido iniziando a camminare prima di imparare a volare, quindi non vanno disturbati (anche perché se lo fate è a vostro rischio e pericolo vista l'aggressività dei genitori).  Ecco alcune foto:


strix aluco
Allocco adulto

Pulcini in un vecchio nido di gazza. 

strix aluco
Uno dei pulcini che ha abbandonato il nido.
Notare la sua colazione: topo e geco provvisti
dai genitori.
N.B. I pulcini dell'allocco scendono 
spontaneamente dal nido, quindi non sono 
caduti e non vanno disturbati. 
E' forse questa la fine "da ziula e u fuanu"? Svelato il mistero cominceremo a chiamarlo "allocco"? Non so voi, ma io continuerò a chiamarli col vecchio nome cercando, con gli occhi, una sagoma nel cielo buio.


Foto: Elisa
Fonti ed ulteriori informazioni: Natura Mediterraneo, The Owl Pages

domenica 15 maggio 2011

"A Paparina", ovvero "Il Papavero"

Aneddoti e dati di un fiori dei nostri campi

In questi giorni di Maggio, quando la Terra sembra ricordarsi il significato della parola "Vita", le nostre campagne si rivestono di verde, fiori ne adornano le scoscese colline e animali d'ogni sorta s'adoperano a mandare avanti la vita. E così riscopriamo il piacere di osservare le piccole cose che circondano le nostre case: fiori di campo, uccelli, insetti nel loro tripudio di colori e danze.

 "A paparina", come la chiamano dalle nostre parti, o "il papavero", in italiano corrente, lo si trova, in questi giorni di Maggio, negli orti e in aperta campagna. Ne esistono un centinaio di specie sparsi nel mondo (Eurasia, Africa, Nord America), caratterizzati da colori diversi (rosso, arancio, rosa, viola, giallo,...), diverse foglie e diversi "frutti".

Il papavero, questo fiore che troviamo nei campi, ai bordi delle strade, dipinto in memorabili quadri, si porta dietro una lunga, lunghissima storia: ad esempio, già nel 5000 A.C. era coltivato in Mesopotamia a scopi ornamentali; nella mitologia greca era associato a Demetra, dea della fertilità e dell'agricoltura; è stato trovato in antiche tombe egiziane; nei secoli è stato ampiamente usato come droga (oppio) e a scopi culinari e tanto altro ancora. Quindi, guardiamolo con più rispetto!

In attesa di una più precisa classificazione (help!) ecco alcuni dei "nostri" esemplari:

Papaver Setigerum (Papavero Setoloso)
Quello in cui ci siamo imbattuti sembra essere un esemplare di Papaver Setigerum, o Papavero Setoloso, comune lungo le coste occidentali dell'Italia, in Sicilia e in Sardegna. E' caratterizzato da lobi fogliari acuti e terminanti con una breve setola.

Un esemplare Papaver Setigerum
(o Papavero Setoloso)
Il fiore.

Papaver Setigerum
Foglie e boccioli. 


Papaver -non sappiamo cosa-
In attesa di ulteriori dettagli ecco le foto di un altro papavero comune nella nostra zona. Notare le differenze nei petali e le foglie.



Da notare il diverso tipo di foglie e gambo.
Aneddoti
Il papavero, si sa, costituisce la base dell'oppio. Citando Wikipedia: "L'oppio è uno stupefacente ottenuto incidendo le capsule immature del Papaver somniferum e raccogliendone il lattice che trasuda, che poi viene lasciato rapprendere all'aria in una resina scura che viene impastata in pani di colore bruno, che emanano un odore dolciastro e hanno un sapore amaro". Non fate pensieri strani, il Papaver somniferum non ce l'abbiamo eppure...
Correva l'anno 1914, la prima guerra mondiale chiamava al fronte i giovani italiani e qualcuno, cercando di evitarla, si imbarcava, da clandestino, sulle navi in partenza per l'America sperando, al contampo, di  trovare fortuna al di la del mare. Fu cosi' che due contadini di Francari (contrada del Gioiosano, per i lettori d'oltralpe) si imbarcarono, da clandestini, con l'intento di raggiungere gli Stati Uniti. Come che fu, la nave in America non giunse mai perché diretta in Cina. I viaggiatori, clandestini, non poterono certo lamentarsi dell'errore col Capitano e fu così che in Cina scesero e vi rimasero. Dopo tre anni uno dei due tornò nell'amata Sicilia, o meglio, nell'amata Francari, più precisamente verso il Serro (altra nota zona del Gioiosano, sempre per i lettori...) e lì trascorse gli ultimi anni della sua vita. Ne porto' ricchezze dall'Oriente? Di sicuro torno' con lunghi baffi intrecciati, un servizio di posate cinesi, un narghile' e semi di un papavero bianco. Per lunghi anni lo si trovava, il vecchio contadino, adagiato in una "rutta" (un abbozzo di grotta), a fumare l'oppio che lui stesso produceva dai papaveri del Serro.


Che fine hanno fatto i papaveri bianchi del Serro? Qualcuno dice che fino a vent'anni fa crescevano ancora lì dove lui era solito seminarli.     
(Anonimo)

Fonti ed Ulteriori Informazioni:
Natura Mediterraneo
http://it.wikipedia.org/wiki/Papaver
http://en.wikipedia.org/wiki/Papaver
Tindaro Buzzanca
Anonimo

Foto: Giusy, Tindaro Buzzanca