domenica 21 febbraio 2010

C'era una volta "a forgia du 'zu Pippinu"


S’è vero che treni, aereoplani e macchinine hanno accorciato le distanze è anche vero che hanno svuotato le strade togliendovi la vita che, a quanto pare, un tempo vi fioriva rigogliosa. Noi non c’eravamo. Queste cose le sentiamo raccontare. Si camminava, per le strade, a piedi e, certo, servivano ore per andare e tornare da Gioiosa. Questo non era comodo, né conveniente, ovvio, ma s’intrecciavano storie più vere di quelle che si possono intessere su uno squillo di clacson tra due auto in corsa nel senso opposto.

E così, camminando camminando, ci si può imbattere, oggi, in quelle pieghe dello spazio e del tempo di cui il mondo moderno sembra essersi dimenticato. Nella sua fretta, qualcosa dovrà pur lasciarsi indietro! Tra queste pieghe c’è una casetta, una stamberga, ormai, smangiucchiata dalla fame del tempo. Se le storie lasciassero echi sentiremmo ancora, passandoci vicino, il martellare, sull’incudine, del martello, qualche asino ragliare, schiamazzi di bambini e di ragazzi e la gente chiamare. E se le storie lasciassero odori sentiremmo ancora del carbone e l’odore pungente degli zoccoli bruciati.

Questa era ‘a forgia (la fucina) du ‘zu Pippinu. Costruita a San Francesco negli anni ’50 lungo il torrente Zappardino rimase in funzione per una ventina d’anni. Il lavoro cominciava la mattina, tra le 7 e le 7:30, e continuava fino a sera. La gente, contadini, falegnami, commercianti, vi portavano ad aggiustare gli attrezzi del mestiere e della casa (zappe, accette, coltelli…), si tosavano e si ferravano gli asini, i muli e i cavalli. Qualche ragazzo di tanto in tanto aiutava. E chi all’epoca era ragazzo ancora oggi racconta storie che germogliavano lì attorno.

Nei giorni di sole ci sediamo, a volte, sul muretto di Luigi, accanto a quel che oggi resta della forgia. Nel silenzio della campagna una macchina sfrecciante insegue il tempo, di tanto in tanto, lungo il torrente e somiglia, nel rumore, ad un moscone o ad un tafano, soltanto un poco meno elegante. Tra gli interstizi delle mura vecchi ferri di cavallo, una chiave e il grosso anello per legarvi i muli, immobile e arruginito. Aspetta chissà cosa. Arriva ogni tanto l’odore del carbone. Sembrano vere tutte le storie.


Nella foto in alto (da sinistra a destra): Nino Nardo, Peppino Spanò, Luigi Manfré, Peppino Giardina, Antonio Lena.
Nella foto in basso: quel che resta della vecchia forgia. Una vecchia casetta appoggiata al "Saloon" di Luigi e al tabacchino da 'Za Nina.