Tipico
frutto dei panorami gioiosani è il fico d’india (opuntia ficus-indica).
La pianta, originaria del Messico, fu importata in Europa dagli
Spagnoli intorno al 1500. Così, nella terra del sole, in Sicilia, il vegetale trovò
il giusto clima e un buon terreno per attecchire e svilupparsi, crescendo anche
spontaneamente senza l’aiuto dei contadini e fornendo dei succulenti
frutti. Appartenente alla famiglia delle cactacee, la pianta presenta dei rami composti da cladodi a forma di pale spinose (“toppe”) sui quali si formano prima delle gemme, poi dei bellissimi fiori gialli o arancioni e infine i frutti. La fioritura ha inizio in primavera e la maturazione in estate, tra agosto e settembre. I frutti sono molto succosi e sono formati, all’interno, da polpa e da piccoli semi, e, all’esterno, da una buccia con spine piccole, sottili e distribuite in raggruppamenti circolari. Ne esistono di diverse qualità e colori: bianchi, gialli, rossi e arancioni.
Se mangiati in grandi quantità e a digiuno possono provocare una forma di stitichezza causata dall’accumulo di semini.
Il fico d’india è sempre stato utile agli allevatori e ai contadini perché le bucce dei frutti e le pale possono servire da nutrimento a vitelli, mucche e maiali quando vi è scarsità d’erba.
Vecchie conoscenze ci raccontano aneddoti
di quando erano bambini, di un’epoca dove si inventava e si costruiva con quel
poco che si aveva, interagendo con la natura e i propri simili, quando molti beni elementari erano un lusso e difficilmente
reperibili: sotto il sole
cocente e le cantilene delle cicale, un gruppo di monelli nascondeva lungo un
sentiero, e sotto una spolverata di terra per mimetizzarle, le “toppe” dei
fichi d’india con le spine più lunghe e dure. Poi aspettavano in agguato che un
passante scalzo percorresse quel tratto cadendo nella trappola.
Una sessantina di anni fa, si andava in
giro alla ricerca di una varietà di fichi d'india selvatici, oggi
usati per scopi ornamentali. Se ne raccoglievano i frutti per ricavarne un succo rossastro,
molto scuro, che fungeva da inchiostro naturale nel quale intingere il pennino
del calamaio.
Infine, qualcuno ricorda che, durante la
seconda guerra mondiale, gli americani percorrevano a cavallo i sentieri delle campagne gioiosane barattando sigarette in cambio di fagioli o cereali; fu
allora che scoprirono questo frutto a loro sconosciuto provando a mangiarlo senza togliere la buccia e le spine!