domenica 28 luglio 2013

Neri

Cara Campagna, 
ti scrivo ancora, dopo tanto tempo, perché, avrai sentito, si paventa all'orizzonte un fatto nefasto - no, non tanto per te, ché non importa a nessuno di cosa t'accada e pari essere lì per soddisfare i nostri bisogni - ma s'è sparsa la voce, a balzo di cervo, che il sindaco voglia portare dei neri nelle scuole di San Francesco! Sì, sì, tra le tue colline! Ma ti rendi conto? Vuole trasformare le scuole, in disuso dal prossimo Settembre, in centro di accoglienza per gli immigrati.

E' vero, abbiamo riempito i tuoi fianchi di chiesette con Madonne e bambin Gesù neri, ai quali baciamo piedi e mani, specialmente lì, vicino alle famigerate scuole, dove ogni Domenica portiamo fiori e preghiere a queste due figure che, a suo tempo, ci dicono, eran poveri fuggiaschi senza tetto, ma ora, nelle nicchie delle chiese, che sanno di muffa e di fiori marci, sono ben vestiti e d'oro incoronati; e facciamo tanto di pellegrinaggio per questa Madonna abbronzata del Tindari, ma per carità: dei neri veri nelle nostre campagne? Poveri, per giunta, senza una casa, in fuga da realtà terribili? Sì, come la Madonna e il bambin Gesù, ma che centra? Quello era duemila anni fa. Ora ci basta cambiargli i fiori il Venerdì. Non li ospitiamo in casa nostra.
E poi, sono brutti, lo cantiamo anche in chiesa, vi avevo pure dedicato una delle mie storielle campagnole (la riscrivo sotto, a fondo pagina).

E pure questo papa, cosa mette in testa alla gente coi suoi viaggi a Lampedusa? Era tanto caruccio e simpaticone finché benediva dalla finestra della basilica di San Pietro. Che questo nostro sindaco abbia sentito le sue parole? ("Viviamo in bolle di sapone, nell'indifferenza e bla bla bla bla ). A Gioiosa viviamo sì in bolle di sapone ma, questa, non buchiamola. 

Preghiamo la nostra Madonna nera che questa cosa non vada in porto.
Ti saluto adorata Campagna.
Dolcissimamente tuo,
Davide 

P.S. Si cara Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, questi morti, sono soltanto vostri.

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Nigra

Lei, da quel “ma”, s'era sempre sentita offesa. Come se l'esser nera precludesse l'esser bella. C'erano racchiuse in quelle due lettere dodici secoli d'insofferenza per l'invasore. Poi s'erano aggiunte ignoranza, egoismo, pregiudizi.
Un tempo erano i Mori, più di recente disperati Africani.

Lei danzava, com'era solita, nella canicola di Luglio. In quel cedro libanese, ormai vecchio di mill'anni, ci avrebbe riposto volentieri dimora, ma era pieno di resine, colle, insetticidi giacché i tarli, ingordi sciacalli, avevano già fatto i loro porci comodi. I colori della statua rilucevano sotto i raggi del Sole mescolandosi a quelli della campagna con sapori di fuoco e terra. Le vesti, sinuose, rosse, si mescolavano, alla vista, cogli incendi che, in lontananza, rodevano, selvaggi e ingordi, la verde pelle delle colline. In quell'infocare d'Estate e dolo danzava pure la Madonna, portata a spalla sopra l'asfalto della contrada. 

La xilocopa, invitata dal gesto amico di madre e figlio, soprappensiero vi s'avvicinò e, dimentica degli astanti, andò per poggiarsi sulle dita del bambin Gesù.

--- Un tabbanu niuru! --- Gridò subito qualcuno che prontamente si sfilò la maglia scacciando la nera creatura immonda. Questa, sopraffatta dalla mossa, fu scaraventata in faccia a un portantino che fece per proteggersi; colpì, a sua volta, la xilocopa, che finì in terra, e andò per schiacciarla ma, nello zelo dello smaciullarla, spostò il suo peso sul brecciolino a bordo strada e scivolò miseramente. Nella confusione generale, la statua perse l'equilibrio e rovinò per il pendio. 

I chierichetti, più avanti, ancora cantavano, a squarciagola, “Sei nera, ma bella!” 

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